giovedì 10 febbraio 2011

Ancora una volta ....in campo!

Sono in procinto di partire per Ancona, città che sabato e domenica 12 e 13 febbraio 2011, ospiterà i Campionati Italiani Giovanili Indoor.
Si tratta della più importante rassegna giovanile invernale nel calendario federale. Saranno in gara gli allievi, le promesse e gli juniores delle categorie maschili e femminili.
Il mio compito è quello di coordinatore delle partenze. In parole povere organizzo e gestisco il lavoro degli starter.
L'ultima volta che ho ricevuto una convocazione nazionale è stato l'anno scorso per una finale del CdS ad Orvieto.
Perchè do queste notizie, di per se stesse direi insignificanti? Il motivo è semplice (almeno per me). All'età di 75 anni essere ancora in condizione di scendere in campo in una manifestazione nazionale è un segnale che non può passare inosservato. Per uno poi che dal 1971 svolge incarichi di giuria ad alto livello, rappresenta qualcosa che va ben oltre la semplice convocazione.
Quante convocazioni ho avuto in carriera? Basterebbe contarle dal momento che le conservo tutte (o quasi) e non è detto che un giorno non mi metta a farne l'elenco.
Ma vorrei evitare. Mi conosco troppo bene. Scommetto che ad ogni elencazione il pensiero correrebbe
 a quell'evento, ai colleghi presenti (e magari oggi assenti...) agli atleti che vi presero parte, alle imprese realizzate, al ricordo del giudizio sul servizio e via dicendo....
Segno di vecchiaia? Beh vorrei vedere chi potrebbe affermare il contrario!|
Allora perchè questa trasferta ad Ancona assume un carattere particolare?
Perchè essere ancora una volta presente significa che c'è ancora bisogno di me e che la mia presenza nel mondo dell'atletica non è legata solo alla funzione di rievocare storie del passato, ma è ancora richiesta per un apporto che è legato alla realtà del momento e al quale anche un "vetusto" può ancora dare il suo contributo.
Mi domando perchè scrivo questi pensieri....!

martedì 8 febbraio 2011

I 100 metri esplosivi di Armin Hary ai Giochi di Roma 1960 visti con gli occhi dello starter

La prestigiosa rivista di critica e storia dello sport, Lancillotto e Nausica, ha pubblicato un numero speciale in occasione della celebrazione dei 50 anni dall'Olimpiade romana del 1960.
Il fascicolo si chiama "Fuori Gara" e presenta quattordici pezzi di altrettanti valenti studiosi e ricercatori di storia dello sport.
Io ho avuto l'onore di veder pubblicato un mio saggio sul grande velocista tedesco degli anni '60, Armin Hary, il primo uomo a correre i 100 metri in 10 secondi netti.
Ecco il testo pubblicato:


La gara più attesa del programma di atletica leggera dei giochi della XVII Olimpiade era sicuramente la corsa  dei 100 metri piani uomini.
L’attesa, divenuta negli ultimi giorni quasi spasmodica, era dovuta principalmente al duello, che si preannunciava di grande interesse storico-agonistico, fra il tedesco Armin Hary e la triade (tanti erano gli atleti ammessi per regolamento ad ogni singola specialità) degli scattisti statunitensi, forti, oltre che del loro valore atletico intrinseco, anche di una tradizione a loro favorevole, in forza di una serie di successi maturati negli anni precedenti l’evento olimpico romano.
Adesso quando agli americani si presentava la opportunità di continuare la striscia di vittorie iniziata a Los Angeles nel 1932, all'orizzonte della specialità era apparso  con tutto il suo formidabile bagaglio psico-fisico e tecnico, quello che sarebbe diventato per molti, ingiustamente, il prototipo del "ladro di partenze": il tedesco Armin Hary, atleta che risultò invece essere un grande talento umano, in possesso di requisiti fuori del comune.
Hary era nato a Quierschied, nella regione della Saar, il 22 marzo 1937, figlio di un minatore che in gioventù era stato un lottatore piuttosto famoso.
Dopo le prime esperienze da calciatore prima ( Armin giocò ala sinistra in una squadretta locale), e da ginnasta poi, Hary a 16 anni si avvicinò all'atletica e fece la sua prima apparizione sulla pista di Aschen correndo i 100 metri in 11.9.
La prima vera occasione per assurgere a rinomanza nazionale la ottenne però dal decathlon, specialità nella quale totalizzò 5.376 punti, primato della Saar, che gli consentì, a fine stagione, di figurare fra i primi quindici specialisti del suo paese.
Fra le discipline del decathlon Hary eccelleva, neppure a dirlo, nella prova dei 100 metri, e fu quindi a questa dove fu indirizzato dal suo allenatore a cominciare dalla stagione 1957.
Armin Hary, già ventenne, ottenne ad Oberhausen in una gara nazionale, un 10.4 che gli permise di accedere per la prima volta nelle graduatorie stagionali mondiali.
Nel 1958 egli lasciò il club di Saaebrucken per trasferirsi a quello, molto più importante, del Bayern di Leverkusen.
Insieme al posto nella squadra di atletica i dirigenti della Bayer, colosso della chimica mondiale, offrirono al giovane Armin anche un posto di meccanico di precisione in una delle aziende del loro gruppo.
L'ingresso nella squadra del Bayern coincise con l'incontro con quello che sarà per anni il suo coach, Bertl Sumser, che analizzò a fondo le caratteristiche psicofisiche e tecniche del giovane Hary che già all'epoca presentavano aspetti estremamente interessanti.
Il  tedesco, ormai più che una promessa, corse in sette occasioni i 100 metri  in 10.3 ed in 10.2 in altre  tre occasioni.
In quella stessa stagione vennero effettuati dal prof. Herbert Reindell, per conto della clinica dell'Università di Friburgo, alcuni test su atleti tedeschi di diverse categorie e specialità.
Si venne così a scoprire che il fisico di Hary aveva la capacità di sopportare allenamenti atletici di intensità largamente superiore a quella che potevano svolgere gli altri atleti: questo per il fatto che il cuore di Hary non era ancora completamente sviluppato e quindi non sottoposto fino a quel momento a logoranti sedute di training.
Hary venne selezionato per i Campionati Europei che si disputarono a Stoccolma nell’agosto del 1958 dove sconvolse tutti i pronostici e si aggiudicò gara e titolo correndo in 10.3 (10.35), lasciando il secondo ed il terzo posto a Germar e Radford, entrambi cronometrati in 10.4.
Che Hary avesse preceduto d'un soffio lo sparo dello starter, lo svedese Erik Elmasater, medaglia d'argento sui 3.000 siepi alle Olimpiadi di Londra 1948, apparve subito evidente alla maggior parte dei presenti e i tecnici chiesero la foto della partenza, dall'esame della quale si ebbe la conferma dell'avvio anticipato.
La foto, apparsa in seguito sulle riviste specializzate, ci mostra chiaramente che Hary è in netto anticipo sugli avversari nello stacco delle mani dal terreno al momento dello sparo.
L'affermazione di Hary a Stoccolma non fu ottenuta solo per merito della sua rapidità in partenza, ma fu favorita dal fisico armonioso (1.82 x 72 kg) e ben muscolato dell’atleta tedesco, che gli consentiva di prodursi in una straordinaria accelerazione, ma anche dalla evidente falsa partenza, lasciata impunita dallo starter.
Il neurologo Herbert Reindell che aveva sottoposto Hary ed altri atleti tedeschi ad accurati esami, affermò, a proposito del velocista tedesco, che i tempi di reazione dell'atleta erano quattro volte più rapidi di quelli di un uomo medio.
Le ricerche effettuate avevano stabilito che il tempo medio di reazione di una persona normale si aggirava intorno ai 15 centesimi di secondo, mentre quello del miglior sprinter tedesco degli ultimi anni, Heinz Futterer, che era considerato uno dei più rapidi partenti europei, veniva valutato sugli  8 centesimi.
I test del prof. Reindell dimostrarono che il tempo di reazione di Hary era di uno stupefacente 3 centesimi; quindi si poté affermare che Hary partiva sì prima degli altri, ma non prima del colpo di pistola.
Il 6 settembre 1958 a Fridrichshafen Hary corse i 100 metri due volte, praticamente senza una concorrenza degna di questo nome.
Una prima volta il tedesco corse in 10.3 rallentando vistosamente negli ultimi 10 metri.
Hary chiese di poter correre una seconda volta i 100 metri e sorprendentemente venne accontentato dagli organizzatori.
Questa volta l'impegno fu totale ed Hary chiuse la prova in un fantastico 10.0 (vento + 0.20) battendo i connazionali Eduard Fenenberg e Karl-Heinz Naujoks.
La Federazione tedesca ebbe grossi dubbi nel convalidare questo risultato per il fatto che Hary aveva preso parte ad una prova non prevista dal programma.
Il presidente federale, Dott. Max Danz, chiese allora che venisse controllata la regolarità della pista trattandosi di un impianto fuori dal giro delle grandi manifestazioni tedesche.
Gli accertamenti rivelarono che la corsia della pista di Friedrichshafen nella quale aveva gareggiato Hary, aveva una pendenza, in favore di corsa, di 10,9 centimetri, quasi un centimetro in più dei 10 ammessi dal regolamento internazionale;  la richiesta di omologazione del primato del mondo non venne quindi inviata alla IAAF con sollievo di tutti: giudici, cronometristi e dirigenti tedeschi.

Il 1959 fu un anno negativo per Hary, che venne sconfitto in più di una occasione.
Hary patì molto le sconfitte tanto da rinunciare ai campionati nazionali.
Entrò in contrasto anche con la sua società, il Bayern Leverkusen, che lo squalificò per un mese e si inimicò  i responsabili della nazionale che non videro di buon occhio la sua decisione di andare a trascorrere un periodo di allenamento a San José, su invito del college californiano, sotto la guida di preparatori locali.
Ma Hary ormai aveva deciso e partì per gli Stati Uniti insieme al saltatore con l'asta danese Henk Visser.
La fama del suo brutto carattere lo aveva però preceduto e non gli agevolò certo l'approccio con i club americani, all'epoca piuttosto restii ad aprire le porte agli stranieri se non per motivi di studio.
Hary comunque non era andato negli Usa a cercare una facile laurea, come malignò qualcuno, ma per allenarsi seriamente e trovare nuovi stimoli.
Egli soggiornò presso il San Jose College, la vecchia Università di Ray Norton che sarà suo avversario a Roma, dove se non altro imparò ad allenarsi con continuità e con quella tenacia che a volte gli era venuta a mancare in Germania.
Nel 1960 tornò in patria.
Lasciò il posto di meccanico di precisione presso l' industria ottica di Leverkusen dove aveva lavorato fino ad allora e si impiegò come venditore di apparecchi radio e televisioni presso i magazzini Kaufhof di Francoforte.
Si tesserò per una nuova società; entrò a far parte della sezione atletica dello F.S.V. Frankfurt Football Club e iniziò la preparazione per i Giochi di Roma sotto la guida dell'allenatore Haefele che aveva già seguito Heinz Futterer, il campione europeo del 1950.
In tutta quella stagione non conobbe sconfitte.
Anche per Hary, come per alcuni atleti del passato, arrivò il "day of day".
Il 21 giugno 1960 era in programma a Zurigo, sulla pista del Letzigrund, una delle prime ad aver sostituito il fondo in cenere con un materiale coerente chiamato "rottgrand", una riunione internazionale denominata "Meeting di Olimpia", praticamente una preolimpica ad inviti organizzata dallo Zurich Athletic Club.
Hary non era stato invitato in quanto i responsabili della squadra tedesca avevano comunicato la sua indisponibilità a partecipare ai meeting, al fine di preservarne le energie in vista delle Olimpiadi.
L' indisposizione di alcuni degli atleti invitati, fra i quali Germar, Futterer e Berruti, e le pressioni esercitate dagli organizzatori che volevano al via il campione europeo dei 100 metri, convinsero i tecnici tedeschi a chiamare, sia pure all'ultimo momento, il loro più forte velocista.
Hary ebbe la notizia dell' invito solo otto ore prima dell'inizio delle gare.
Sorse il problema di trovare un posto sull'aereo per Zurigo i cui posti erano tutti occupati.
La cessione ad un passeggero di due biglietti per la finale del campionato tedesco di calcio, a quell'ora praticamente introvabili ma non per alcuni amici di Hary, fece recedere questi dal viaggio in Svizzera a favore del velocista tedesco.
Alle 18.30 del 21 giugno Hary venne prelevato dall'aeroporto internazionale di Zurigo ed alle 19.15 fece il suo ingresso sul terreno del Letzigrund.
Le serie dei 100 metri erano in programma alle 19.45 e quella che vedeva impegnato Hary era l'ultima.
Mentre completava il suo riscaldamento Hary ebbe modo di assistere alla partenza delle prime serie e si rese conto che lo starter, lo svizzero Walter Tischler, sostituto dello starter ufficiale Albert Kern,  infortunato ma presente al Letzigrund con le grucce, lasciava intercorrere pochissimo tempo fra il "pronti" e lo sparo.
Con questa importante  notizia acquisita sul campo, Hary si schierò alla partenza della sua serie avendo come avversari: il franco-senegalese Abdoulaye Seye, i francesi  Claude Piquemal (alcune cronache indicano però in Meunier  l'atleta francese che avrebbe partecipato a questa gara) e Paul Genevay, lo svizzero Heinz Müller, l'italiano Pasquale Giannone ed il connazionale Jurgen Schlüttler dell'ASV di Colonia.
I 12.000 spettatori erano in trepida attesa.
Un attimo, uno sparo e Hary, partito in quarta corsia, era già avanti all'allineamento dei concorrenti, e spingeva come una furia. Il suo vantaggio crebbe a vista d'occhio e il tedesco chiuse la gara con un margine enorme nei confronti del pur quotato Seye.
La giuria era perplessa ed anche i cronometristi sembrarono esitare nell'assegnazione dei tempi.
Il pubblico, rumoreggiò in quanto aveva chiaramente notato che qualcosa non aveva funzionato alla partenza.
Si era visto il sig. Walter Tischler agitarsi, ma il suo secondo colpo, che sarebbe stato sacrosanto tanto l'avvio di Hary era stato anticipato rispetto agli altri, non era arrivato.
Venne intanto comunicato un ordine di arrivo provvisorio: primo Hary in 10.0 (ma si seppe poi che i tre cronometristi avevano preso questi tempi: 9.9-9.95-10.0 ed il crono extra addirittura 9.8), secondo fu Seye in 10.3/10.53, terzo Piquemal  (Meunier ?) in 10.4/10.72, quarto Schlüttler, 10.5/10.77, quinto Giannone, 10.6, sesto Genevay, 10.6 e settimo Müller, anch'egli 10.6.
La rilevazione automatica del tempo di Hary fu: 10.16.
A questo annuncio il pubblico manifestò il suo disappunto a tal punto che il Giudice arbitro Willy Weibel, un ex velocista che aveva partecipato ai Giochi di Parigi del 1924, fece comunicare che erano in corso accertamenti sulla regolarità della gara.
Weibel convocò a sé lo starter e anche i concorrenti.
Hary candidamente confessò di essere partito prima dello sparo, ma di aver atteso invano il segnale di richiamo.
Il sig. Tischler, ammise di aver rilevato la falsa partenza, ma di non aver avuto i riflessi pronti ad azionare la seconda pistola che teneva nella mano di sinistra per sparare il colpo di richiamo.
Queste dichiarazioni indussero Willy Weibel a comunicare l'annullamento della prova e la ripetizione della medesima alle ore 20.20.
Alla partenza per la ripetizione della gara, si presentarono solamente: Schlüttler,  che corse in seconda corsia, e Müller, che occupò la terza ed Hary al quale venne assegnata la quarta.
Walter Tischler si fece da parte e venne sostituito da Albert Kern, che depose per un attimo le grucce ed entrò in servizio; Kern era lo starter che proprio su quella stessa pista il 7 luglio 1959 aveva avviato la gara dei 110 ad ostacoli, al termine della quale Martin Lauer aveva stabilito il nuovo primato mondiale con il tempo di 13.2.
Lo starter in questione era quello al quale il compianto Prof. Calvesi aveva attribuito il nomignolo di: "Zaccaria: pronti, via !" proprio per la rapidità di esecuzione nella fase più delicata dello start.
La partenza di questa nuova prova avvenne con un avvio regolare, anche se i più attenti osservatori notarono che l'intervallo fra il "fertig" ed il "gun" era stato ancora molto breve.
Müller contrastò Hary per una decina di metri, ma poi il tedesco si involò. Schlüttler non fu mai in gara.
Hary fu un portento di potenza, coordinazione ed agilità. Volò verso il traguardo con una progressione impressionante e con uno stile che incantò il pubblico.
Questi ebbe subito la sensazione che qualcosa di clamoroso era avvenuto.
Lauer si avvicinò al recinto dei cronometristi, poi si slanciò verso Hary, lo abbracciò e lo indicò alla folla che lo applaudì freneticamente.
Una rapida consultazione dei cronometri e poi lo speaker scandì il risultato: primo Hary in 10.0, (tempi dei tre cronometristi: 10.0-10.0 e 10.1) nuovo record del mondo, secondo Müller, 10.3/10.62 (record svizzero eguagliato), terzo Schlüttler, 10.4/10.71, con il suo nuovo primato personale.
Il vento venne rilevato in favore di 0.90 m/s. mentre l’apparecchiatura di cronometraggio Longines, registrò il tempo automatico di 10.25.
Armin Hary comunque era l'uomo che aveva ottenuto il primo 10.0 della storia dei 100 metri, prestazione che era stata caratterizzata da tre componenti: atleta veloce, pista veloce, sparo veloce !
Era anche il primo europeo ad aver dato al vecchio continente il primato assoluto dei 100 metri senza comproprietà.
In passato il record mondiale dei 100 metri era sempre stato solamente eguagliato da un europeo: così era successo per l'olandese Christiaan Berger (10.3 il 26 agosto 1934 ad Amsterdam), per il "naturalizzato" inglese Emmanuel Mc Donald Bailey (10.2 il 25 agosto 1951 a Belgrado) e per il tedesco Heinz Futterer (10.2 il 31 ottobre 1954 a Yokohama).
Hary si presentò così come il favorito numero uno per la conquista della medaglia d'oro ai Giochi di Roma.
Molte cose sono state dette sul brutto carattere del tedesco e sulla sua grande presunzione che lo portò perfino a snobbare il grande Jesse Owens, con il quale poi a Roma posò a lungo in foto scherzose che li ritrassero insieme in posizione di partenza.
Ma quanto messo in atto da Hary a Roma durante la finale dei 100 metri  non aveva niente di fantasioso; l’operazione fu sicuramente studiata a tavolino dal velocista tedesco e dal suo manager al fine di procurarsi vantaggi attraverso una doppia sponsorizzazione.
Il tedesco durante la finale indossò scarpette chiodate prodotte dalla Puma, con il classico contrassegno blu anziché nero, ma quando si presentò sul podio per la premiazione ai suoi piedi figuravano scarpette bianche con le tre fasce blu, cioè scarpe costruite dalla concorrente Adidas!
Ci furono ovviamente fiere proteste da parte delle due case produttrici, entrambe tedesche, che minacciarono richieste di danni; ma poi la federazione mise tutto a tacere.
Quella di Hary ad alto livello sarà comunque una carriera breve, circoscritta praticamente a tre soli anni, dal 1958 al 1960.
Una contusione al ginocchio destro, riportata in un incidente automobilistico il 26 novembre del 1960 lo costrinse prima ad un fermo di oltre un anno e mezzo e poi al definitivo abbandono delle piste, decisione sulla quale influì sicuramente anche la sospensione che gli fu comminata dai suoi dirigenti per aver accettato un rimborso per spese non sostenute e per aver ricevuto un compenso di 4.000 marchi per un articolo ritenuto diffamatorio dalla federazione tedesca.
La Lega d'Assia gli comminò una squalifica per tutto il 1961, ma la federazione tedesca ridusse il provvedimento a quattro mesi.
Intervenne nella questione anche il CIO, ed uno dei suoi massimi esponenti, Otto Mayer arrivò addirittura ad ipotizzare il ritiro ad Hary della medaglia conquistata a Roma, e la sua esclusione definitiva dalle prossime Olimpiadi.
Hary comunque subito dopo i Giochi cercò di mettere a frutto la sua medaglia d'oro.
Scrisse un libro, "10.0 (Armin Hary)" pubblicato nel 1961 dalla Copress Verlag, e tentò anche la via del cinema e del giornalismo. Fu anche presentatore in televisione di quelle che oggi vengono chiamate "telepromozioni" per conto di una ditta di apparecchiature microfoniche.
Nel 1966 sposò la ventunenne Christine Bagusat, con la quale era fidanzato da alcuni anni, figlia di un facoltoso industriale tedesco, ed andò a vivere nel castello di famiglia di Possenhofen in Baviera.
Si dice che ai tempi dei Giochi romani la coppia fosse in crisi e la causa di ciò ricadesse sul comportamento di Armin, sensibile al richiamo del gentil sesso.
Ebbene sembra che Hary il giorno della finale, poco prima di lasciare il Villaggio Olimpico, avesse ricevuto un telefonata molto minacciosa da parte del padre di Christine, il quale lo aveva redarguito molto severamente per il suo atteggiamento.
Nel 1980 Hary venne arrestato dalla polizia insieme all'amico Karl-Heinz Bald, per aver truffato, nel contesto di complicate operazioni immobiliari, la Società dei Condomini della Chiesa Cattolica per una somma quantificata in un milione di marchi, e di aver inoltre arrecato danni alla Arcidiocesi di Monaco di Baviera per parecchi milioni di marchi.
Nel 1981 giunse notizia di una sua condanna a due anni di reclusione inflittagli dal Tribunale di Monaco.
Ma questo nulla ha a che fare con la sua figura e carriera di atleta.

Ma eccoci arrivati al momento di parlare della gara dei 100 metri delle Olimpiadi romane.
Alla gara dei 100 metri erano iscritti 65 atleti in rappresentanza di 48 nazioni. Ci furono solo tre defezioni e i partenti furono 62 e le nazioni 46.
Erano presenti tutti i migliori velocisti del mondo degli anni 60, con le sole eccezioni delle "vittime" dei trials americani (Charles Tidwell, Bobby Morrow, che non potè difendere, come era nei suoi progetti il titolo olimpico vinto a Melbourne, Willie White e Bill Woodhouse), di Livio Berruti, che aveva optato per la gara dei 200 metri, e del russo Leonid Bartenyev che venne utilizzato solo nella gara di staffetta 4x100.
I sessantadue atleti che avevano confermato la loro iscrizione (fra questi il solo che non si presentò alla partenza su il nigeriano James “Jimmy” Omagbemi), vennero divisi in nove batterie.
Lo starter chiamato ad avviare le partenze delle varie fasi dei 100 metri uomini era Primo Pedrazzini di Milano, un giudice di comprovata esperienza e di lunga militanza nella specialità.
Insieme a lui operarono Camillo Sivelli, un avvocato modenese, e Ruggero Maregatti di Milano, l’unico dei tre ad avere un significativo passato da atleta.
Primo Pedrazzini avviò anche la gara dei 200 metri.
La prima batteria si corse alle ore 9.00 di mercoledì 31 agosto, in condizioni atmosferiche perfette.
Nessun problema per l'agilissimo cubano Figuerola che vinse in un eccellente 10.4, tempo che insieme a quello ottenuto dal venezuelano Esteves nella terza batteria ed i tempi di Radford e Budd della nona batteria, rimarrà la migliore prestazione del primo turno eliminatorio.
Il cubano, che impressionò molto per la sua azione di corsa, distanziò nettamente il norvegese Bunaes ed il russo Konovalov.
Fu quindi la volta di Hary, impegnato nella seconda batteria con il keniano Antao, il pakistano Khaliq (presente a Berlino in occasione del primato del mondo di Williams e Murchison) e lo svizzero Müller, giunto secondo a Zurigo il giorno del primo 10.0 della storia.
Hary, prima di schierarsi alla partenza, si avvicinò allo starter Primo Pedrazzini e gli strinse la mano quasi a suggellare un patto di non belligeranza con il giudice italiano, che si dice avesse trascorso, alla vigilia dei Giochi, notti insonni pensando al momento in cui avrebbe avuto allo start per la prima volta il tedesco, del quale aveva letto e sentito dire cose "agghiaccianti".
Il tedesco partì con molta cautela, quasi a voler tranquillizzare lo starter circa la sua intenzione di non creargli, e crearsi, eccessivi problemi.
Hary corse con grande scioltezza e sul traguardo si fece superare da Seraphino Antao, velocista ventisettenne, originario dell'India ma residente in Kenia, che nel 1963 aveva conquistato il titolo di campione dell'impero britannico sulle 100 e 220 yards.
Terzo fu lo svizzero Müller, al quale evidentemente portava fortuna correre insieme ad Armin.
Sorprese il diciannovenne venezuelano Horacio Esteves, futuro primatista mondiale dei 100 metri, che vinse la terza batteria in 10.4 davanti all'antillano Johnson e ad uno svogliato Dave Sime, il cui stile di corsa, andatura  impettita e passo lungo, non piacque ai tecnici.
L'americano comunque corse in un buon 10.5 e lasciò il quarto classificato a tre decimi di secondo di distanza.
Al settimo posto, e quindi ultimo, in questa batteria giunse Neggousse Roba, un atleta etiope che aveva partecipato, sempre nei 100 metri, anche ai Giochi di Melbourne, finendo egualmente ultimo nella seconda batteria del primo turno.
Perchè ci occupiamo di Neggousse Roba, velocista da 11.0 ?
Desideriamo ricordarlo in quanto, terminata l'attività agonistica, Roba intraprese la carriera di allenatore ed in questa veste ottenne quella gloria e quella fama che gli era stata negata dalle sue non  eccelse doti di velocista.
Neggousse cessò infatti  di gareggiare dopo i Giochi di Roma e cominciò subito ad occuparsi del connazionale Abebe Bikila che guidò alla seconda medaglia d'oro della maratona a Tokio.
Fu inoltre preziosa guida e coach di altri due grandi del fondo, Mamo Wolde e Miruts Yifter.
Nessun problema per l'altro primatista mondiale, il canadese Jerome, che vinse la quarta batteria davanti al francese Delecour, correndo al risparmio ma senza mettere in mostra le sue abituali straordinarie doti di agilità e scioltezza. Tempo: 10.5 per entrambi.
I tedeschi dopo Mahlendorf persero il loro secondo uomo nella ottava batteria.
Manfred Germar infatti, sofferente per un mal di denti che lo affliggeva da alcuni giorni, corse in un disastroso 11.0 finendo quinto e pertanto venne eliminato.
Ancora due tempi (10.4) fra le prestazioni migliori del primo turno nella nona batteria vinta dall'inglese Radford sull'americano Francis Joseph Budd, detto "Frank", velocista del Philadelphia Pioneer Club, studente di marketing alla Villanova University, atleta che non sarebbe mai potuto arrivare a partecipare ai Giochi Olimpici senza la "lotteria" dei Trials.
Durante tutte le batterie spirò un leggerissimo vento contrario alla direzione di corsa dei concorrenti oscillante fra gli 0.14 ed gli 0.46 m/s.
I tempi medi di intervento dello starter Primo Pedrazzini, appositamente cronometrati, furono di 22.366 fra il comando "Ai vostri posti" ed il "pronti" e di 1.844 fra il "pronti" e lo sparo.

Alle 16 di quello stesso pomeriggio si corsero le batterie del secondo turno.
La giornata era assolata e la temperatura di 29°C ancora soddisfacente per una giornata di fine agosto.
Gli atleti migliori non si nascosero più e scoprirono le batterie, manifestando chiaramente le loro intenzioni.
Nella prima batteria Horacio Esteves, partito in prima corsia, confermò la buona impressione del mattino e con il tempo di 10.5 regolò il possente bahamense Robinson e l'incerto Ray Norton autore di una pessima partenza.
Hary nella seconda batteria si produsse nella sua "blitz-start", ma partì regolarmente senza lasciare dubbi.
Il tedesco corse in un eccellente 10.2, tempo che costituiva il nuovo primato olimpico, regolando l'americano Sime (10.3) che stava chiaramente ritrovando la sua forma migliore ed il polacco Foik (10.4).
Fu la batteria più veloce ed Hary, stabilendo il nuovo limite dei Giochi, impressionò il pubblico dell'Olimpico che cominciò a ricredersi dei pregiudizi avanzati sul conto del tedesco.
Grande lotta nelle ultime due batterie dei quarti di finale.
Nella terza Frak Budd corse ancora in 10.4. Lo stesso tempo del cubano Figuerola che si classificò secondo davanti al britannico Jones (10.5).
Quattro uomini sulla stessa linea per l'arrivo della quarta ed ultima batteria del secondo turno.
Ci volle il fotofinish per dare una classifica alla più incerta delle gare dei turni eliminatori.
La vittoria andò al canadese Jerome, davanti all'inglese Radford ed al keniano Antao: tutti con il tempo di 10.4.
Il tempo di questa batteria assunse maggior valore tenuto conto che si corse con vento contrario misurato in 2.31 m/s.
I velocisti statunitensi, attesi con grande interesse e curiosità da pubblico e tecnici, non lasciarono grande impressione in questa prima giornata dei 100 metri.
A parte Budd,  che era il meno quotato dei tre selezionati, Norton e Sime non convinsero affatto.
Se Dave Sime nella batteria del primo turno si era nascosto, limitandosi a raggiungere una tranquilla qualificazione, nel quarto di finale non ebbe scusanti per la sconfitta inflittagli da Hary.
Norton invece, nonostante la vittoria nella batteria del primo turno, deluse dimostrando di essere giunto ai Giochi chiaramente fuori forma.
Dei tedeschi si salvò solo Armin Hary, mentre meglio fecero gli inglesi che portarono due uomini in semifinale.
Anche al termine di questo secondo turno furono resi noti i tempi medi dello starter: 24.900 fra il comando "Ai vostri posti" ed il "pronti" e 1.575 fra il "pronti" ed il via.

Le due attese semifinali si corsero alle 15.40 di giovedì 1° settembre.
Il tempo si mantenne bello e gli anemometristi rimasero inoperosi in quanto i loro apparecchi non registrarono  presenza di vento sulla pista dello Stadio Olimpico.
Nella prima semifinale si ebbe la grossa sorpresa del ritiro del canadese Harry Jerome, uno dei due primatisti del mondo, dopo appena cinquanta metri dalla partenza per uno stiramento muscolare, incidente sul quale qualche giornalista avanzò dubbi. L’atleta tuttavia fu visto cadere e rotolarsi a terra dolorante.
La prova venne vinta dall'inglese Radford, che all' Olimpiade stava confermando le grosse prestazioni ottenute nel 1960, nel tempo di 10.4; egli ebbe ragione del cubano Figuerola e dell'americano Budd che solo grazie ad uno scatto finale riuscì a prevalere su Foik e Robinson, autore di una ottima partenza,  tutti classificati con il suo stesso tempo di 10.5.
David Sime dovette ammainare bandiera ancora una volta contro Hary che corse e vinse in 10.3.
In questa seconda semifinale si ebbero le prime schermaglie in partenza.
L'americano Sime, preoccupato della fama di Hary, volle mettere alla prova lo starter italiano Pedrazzini, e tentò di anticipare la partenza ma venne prontamente sanzionato.
Hary tentò di prendere in contropiede il suo avversario più pericoloso cercando di indovinare la partenza di Pedrazzini che invece lo bloccò con il secondo colpo.
Il nervosismo dei due più seri candidati alla vittoria finale, non si trasmise fortunatamente agli altri atleti; fu proprio il giovanissimo Esteves, per nulla intimorito dalla fama di Hary, ad invitare il tedesco alla calma.
Questi raccolse evidentemente l'invito in quanto al terzo tentativo partì prudentemente e nei primi metri rimase dietro agli avversari. Poi si distese e dominò la gara. Alle sue spalle Sime e Norton fecero valere la loro miglior classe, riuscendo a qualificarsi a spese di Jones,  eliminato dopo l'esame del foto-finish, di Esteves e di Antao, manifestando tuttavia quelle difficoltà che di lì a poco la finale punirà in maniera inesorabile.
I tempi medi dello starter per le due semifinali furono: 22.250 e 1.600.
C' era molta elettricità nello Stadio Olimpico durante le semifinali.
Hary fu incitato a gran voce dagli sportivi tedeschi, presenti in grandissimo numero sulla tribune dello stadio e le sue quotazioni per la vittoria finale si impennarono decisamente.
I velocisti americani avevano chiaramente dimostrato di non trovarsi in grandissima condizione e l'interruzione della loro lunga tradizione di vittorie olimpiche sembrò inevitabile.
Essi si sarebbero dovuti guardare, oltre che da Hary, anche da Radford e Figuerola, atleti che avevano fino allora ben impressionato, ed erano decisi a non fare la figura dei comprimari.

Neppure due ore divisero le ultime due qualificazioni dalla attesissima finale.
Quando gli atleti entrarono in pista sorprese l’abbigliamento casual di Hary. Il tedesco infatti, al posto della divisa ufficiale della Germania, indossava un paio di pantaloni di una tuta azzurri e sulla maglia di gara, con appuntato il n. 263, una camicia con collo a “v” a scacchi verdi e grigi che portava fuori dei pantaloni. In testa, al contrario degli americani che portavano berrettini da baseball di varie fogge e colori, il tedesco indossava un cappello chiaro a larghe falde che assomigliava molto a un copricapo in uso presso i cow-boy americani. Un borsone blu da marinaio a tracolla conteneva gli attrezzi per la sistemazione dei blocchi e due paia di scarpette da corsa di marca diversa.
Alle 17.30 precise i sei finalisti: quattro uomini di colore e tre bianchi si schierarono nelle rispettive corsie. Il loro allineamento, partendo dalla corda fu il seguente: Sime, Budd, Norton,  Figuerola,  Radford ed  Hary.
Il RTI dell'epoca non prevedeva, come quello in vigore oggi, che gli autori dei migliori tempi nelle semifinali fossero privilegiati con la assegnazione delle corsie centrali; si procedeva per sorteggio in ogni turno di gara.
Pertanto i due favoriti, Sime ed Hary, partirono in posizione antitetica, uno in prima l'altro in sesta corsia.
Lo starter, assistito da Lucci e Ragni, invitò i concorrenti a prendere il loro posto ed essi si collocarono sui blocchi di partenza.
Appena Pedrazzini ebbe pronunciato il "pronti" Sime scattò via come una furia, seguito da Hary, senza attendere il colpo di pistola che lo starter giustamente risparmiò tanto era stata  evidente la falsa partenza. Per richiamare i concorrenti fu quindi sufficiente il comando "al tempo".
Il RTI attribuiva allora allo starter la discrezionalità di sancire o meno la falsa partenza in caso di avvio contemporaneo da parte di due o più atleti. La regola è vigente anche oggi e in gergo, quando la circostanza si presenta, si dice che lo starter "ha tenuto per sè la falsa partenza” nella incertezza di attribuirla ad uno dei concorrenti fra quelli che si sono avviati per primi".
Pedrazzini, prudentemente, optò per la non belligeranza e non assegnò la falsa partenza ad alcun concorrente.
Figuerola approfittò della interruzione per chiedere un attimo di tregua e per poter sistemare meglio i suoi starting-blocks.
Al secondo tentativo Hary partì con apparente regolarità, ma Pedrazzini non ebbe incertezze e fermò la gara assegnando la falsa partenza al tedesco.
Lo stadio esplose in una salva di fischi, per lo più provenienti dal pubblico tedesco, diretti allo starter, colpevole secondo loro, di aver punito ingiustamente un innocente Hary.
La falsa partenza produsse una enorme pressione psicologica su Hary che era ad un passo dal veder compromesse le sue possibilità di vittoria; sarebbe infatti bastata un'altra sola incertezza in partenza e addio titolo olimpico !
Ma il tedesco dimostrò di avere, oltre i muscoli, anche i nervi d'acciaio.
Seppe placare la forte agitazione che lo angosciava e superare lo stato di tensione provocato dalla falsa partenza.
La gara comunque finalmente si avviò.
Pedrazzini in effetti accorciò tempi di intervallo fra "il pronti" ed il via. I dati rilevati dai cronometristi registrarono un tempo medio di 19.300 fra il primo comando ed il "pronti" e solo 1.500 fra il "pronti" e lo sparo.
Hary in questa circostanza fu ovviamente più prudente ed al via sembrò avviarsi quasi con un leggero ritardo rispetto ai suoi avversari, fra i quali il più lesto fu il cubano Figuerola. Cinque metri furono però sufficienti al tedesco per lanciare la sua corsa ed imporre la sua indiscussa supremazia.
Dopo quindici metri il cubano venne raggiunto ed Hary fu quindi nettamente primo con un vantaggio che incrementò fino ai trenta metri, mentre Norton e Budd  erano chiaramente in difficoltà avendo stentato ad avviarsi con la consueta rapidità.
A metà corsa iniziò la rimonta dell'inglese Radford che oltre ad Hary aveva davanti a sé, sulla sua sinistra, anche l'americano Sime.
Il finale di Sime e Radford fu di una violenza entusiasmante, ma Hary aveva accumulato un vantaggio tale che la grande rimonta dell'americano non riuscì a colmare.
Il filo di lana si avvicinava sempre di più, finchè Hary non lo tagliò con la parte alta del petto, a testa dritta, con le braccia aperte all'indietro, spiegate come due ali.
In quello stesso istante, dalla parte opposta della pista, Sime nel tentativo di trovare una disperata soluzione alla sua corsa ormai compromessa, si lanciò verso il traguardo abbandonando il contatto con il suolo imitando lo stile di arrivo di Charles Paddock, il suo famoso predecessore.
Hary superato il traguardo si piegò sulle ginocchia, barcollò, poi ritrovò l'equilibrio e percorse alcuni metri al passo.
Respinse il primo dirigente che gli si slanciò contro ed andò ad appartarsi in un angolo della pista, subito circondato dai compagni di squadra, che commentavano le fasi dell'arrivo sull'esito del quale però ancora non si pronunciava nessuno.
Sime intanto, dopo il suo disperato tentativo, era caduto disteso per terra lungo la pista e lì era rimasto quasi attonito, ancora incerto sull'esito della gara. Si era poi rialzato lentamente e si era toccato le graffiature procuratesi nella caduta.
L'occhio dei giudici percepì la vittoria di Hary, ma essi non si fidarono e consultarono gli strumenti della Omega.
Trascorsero pochi minuti, che ad Hary e Sime dovranno essere sembrati una eternità, poi la voce dell'altoparlante comunicò l'ordine di arrivo e sancì la prima vittoria sui 100 metri in una Olimpiade di un atleta tedesco.
Armin Hary sorrise ma non si abbandonò a scene di entusiasmo; strinse molte mani ma dette l'impressione di essere terribilmente stanco e stressato dalla tensione che lo aveva attanagliato fino a pochi attimi prima.
Il velocista tedesco aveva corso nuovamente in 10.2 eguagliando nuovamente il record olimpico da lui stabilito il giorno prima.
Sime fu accreditato dello stesso tempo ma fu chiaramente una ingiustizia.
Con la vittoria di Roma Hary convinse tutti del suo effettivo valore.
Tutti.......o quasi.
Sono giudizi opinabili. Nello sprint il responso del campo è più determinante di tutti i giudizi che si possono formulare sulle qualità di un velocista che poi soccombe nei confronti diretti con l'avversario.
Anche il vecchio Jesse Owens, che avendo osservato Hary in allenamento negli Stati Uniti, aveva mosso dubbi sul suo primato del mondo affermando che al massimo il tedesco valeva 10.1, si rimangiò il suo affrettato giudizio e disse: "Penso che Hary sia senz'altro il migliore velocista del mondo ed ora che l'ho visto impegnato in una gara ad alto livello credo veramente che abbia fatto 10.0. La sua partenza poi è qualcosa di veramente portentoso !"
Una testimonianza preziosa sull'argomento venne dall'inglese Peter Radford, l'uomo che nella finale di Roma era nella corsia vicina a quella di Hary, praticamente spalla a spalla con il tedesco.
Egli disse che Hary adottava un sistema di partenza che era perfettamente in linea con le norme regolamentari dell'epoca, ma che si basava molto sulla "vulnerabilità" dello starter.
Ricordiamo che la Regola 162 del RTI in vigore alla vigilia dei Giochi di Roma (aggiornato con le modifiche deliberate dalla IAAF a Melbourne il 4 dicembre 1956), imponeva allo starter di sparare il colpo di pistola "quando tutti i concorrenti erano pronti".
Ebbene cosa faceva Hary ?
Egli rispondeva al comando "pronti" dello starter, ma raggiungeva la posizione lentamente e solo quando, ovviamente in via presuntiva (ma Hary era un volpone e conosceva bene le abitudini dei sui avversari), tutti gli altri erano ormai fermi sulla posizione di "pronti" si "decideva" a raggiungerla anche lui con la consapevolezza che in quel momento lo starter, esasperato dalla lentezza del movimento ascensionale del tedesco e preoccupato che gli altri atleti si "muovessero" dato il tempo trascorso, avrebbe azionato la pistola e dato in via alla gara.
Con Hary la vecchia Europa mise in dubbio la invulnerabilità dei velocisti americani che ricevettero un altro duro colpo alcuni giorni dopo quando il nostro Berruti  tolse loro anche il titolo dei 200 metri.
Ma nonostante la riscossa europea, sul piano complessivo dei risultati e del potenziale umano i velocisti degli Stati Uniti, nonostante l'assurda tortura dei Trials, rimanevano a nostro avviso ancora i migliori del mondo, anche se a molti di loro la pratica e i successi ottenuti in atletica sarebbero serviti per avere accesso a sport professionistici  in grado di assicurare loro lauti guadagni.
Gustavo Pallicca

Firenze, 19 aprile 2010


Bibliografia:
Bonacina Giorgio, “I più veloci”, Longanesi, Milano, 1977
Gregori Claudio, “Livio Berruti”, Vallardi, 2009
Pallicca Gustavo, “Ai Vostri posti, pronti, via”, Fidal, Roma, 1996
Quercetani L. Roberto e Pallicca Gustavo, “A world history of sprint racing (1880-2002)”, SEP Editrice, 2006
C.O.N.I., “Rapporto Olimpico”, Roma, 1960

Qualche considerazione...a ruota libera!

Visto che molti (tutti?) hanno un blog, tempo fa mi interrogai sulla opportunità di crearne uno anch'io. Subito mi domandai: si d'accordo ma poi chi lo scopre e chi, soprattutto, lo viene a leggere?
Le perplessità nacquero spontanee, forti anche dello stesso atteggiamento che avevo io nei confronti della stragrande maggioranza dei blog.
Però mi dissi: provaci lo stesso!
Dopo un approccio freddo e distaccato lasciai perdere e addirittura mi dimenticai del nome del blog e della password di accesso.
Recentemente la mania del blog è tornata prepotentemente alla ribalta.
Non c'è personaggio, pubblico o privato, politico e laico, che non citi il suo blog. Grillo ne ha fatto un palcoscenico mediatico, Matteo Renzi (il mio sindaco) interloquisce con i cittadini esponendosi però a severe critiche quando le cose fiorentine non vanno nel senso giusto. Mi pare che l'abbia anche Di Pietro, il che è tutto dire (sicuramente ci sarà qualcuno che gli scrive i pezzi inframmezzati dagli ormai ilari (che c'azzecca?).
E io che, nonostante il peso degli anni, riesco ancora a seguire le mode, mi sono detto è il momento di rispolverare il vecchio (anche lui....) blog e proporre qualcosa al vasto pubblico degli sportivi.
Alcune sono cose che sono già apparse in altri siti, altre sono inedite. Ma non credo che sia questo il problema. Importante è che si parli di sport...e in particolare dell'atletica leggera in tutte le sue sfaccettature...nella speranza che qualcuno legga...!!

Etica nello sport: il rispetto delle regole in atletica leggera


Parlare di etica nello sport, e in particolare in atletica leggera, potrebbe a prima vista sembrare un paradosso.
Come si fa infatti a chiamare in causa la parola “etica” in un contesto, quale quello sportivo, dove i principi fondamentali sono quelli della lealtà, dell’amicizia ma soprattutto della equità, del rispetto dei compagni, degli avversari e delle regole.
L’etica infatti viene riconosciuta e definita come l’insieme delle regole e dei principi che regolano la condotta umana.
Nel campo sportivo le regole sono state “inventate” dai padri fondatori di ogni singola disciplina, affinate attraverso decenni di esperienza, modificate nel tempo per adeguarle agli sviluppi della tecnologia sempre più invasiva, e infine corrette sulla scorta dei comportamenti degli atleti registrati sui campi di gara.
Lo sport, a prescindere dall’aspetto agonistico, é scuola di vita dove si impara a convivere con gli altri, a confrontarsi con essi, a prepararsi a conseguire un risultato che si può anche non raggiungere. Una scuola di vita nella quale si forgia il carattere del praticante anche attraverso il gusto amaro della sconfitta ancorché della gioia della vittoria. In questa scuola oltre che il fisico si forgia quindi anche il carattere e il praticante è chiamato ad imparare a gestire situazioni difficili e a controllare le proprie emotività.
Lo sport ha un valore sociale molto alto. Mi direte che certi spettacoli ai quali anche di recente abbiamo assistito, non sono certo un esempio che avvalora e risponde a questo concetto, ma anzi fa molto riflettere sul perché di questa mancanza di risultato sociale. Le risposte a questo quesito possono essere molte e tutte portatrici di un contributo che anziché aiutarci a risolvere il problema aumenta i nostri interrogativi.
Abbiamo accennato alle regole. Le regole sono fondamentali, così come il loro rispetto, per fare si che un eventi sportivo abbia una gestione credibile e corretta. Ma è altresì importante che le regole siano fatte rispettare seriamente ed equamente.
In uno sport composito come l’atletica leggera dove le specialità sono molteplici e distinte fra maschi e femmine, le regole sono numerose e in continua evoluzione rispetto ai tempi e alle attrezzature impiegate.
Esse nacquero insieme alle due grandi organizzazioni che furono create ai fini del 1800: la Amateur Athletic Association inglese e la Amaterur Athletic Union statunitense. Nel 1912, dopo i Giochi Olimpici di Stoccolma, si costitì la I.A.A.F. – International Amateur Athletic Federation, che dette vita al primo Regolamento Tecnico Internazionale, valido per tutti i Paesi aderenti.
L’attività sportiva in genere, e quella dell’atletica in particolare, si sviluppò principalmente nei college universitari e quindi fra gli appartenenti alle classi sociali più agiate e benestanti. Non a caso, infatti, i Giochi Olimpici, concepiti e rifondati da Pierre De Coubertin, furono riservati ai “dilettanti” cioè a coloro che per ceto sociale, per censo, e soprattutto per reddito, potevano permettersi di impegnare il tempo libero in una attività sportiva. Ecco quindi che nello sport dilettantistico, e poi olimpico, il concetto di rispetto delle regole, di rispetto dell’avversario e di sviluppo di nobili rapporti fra compagni ed avversari era una caratteristica intrinseca  alla natura di tale attività. Ecco quindi che nacque e si formò il concetto di “fair play”.
Per far rispettare le regole ogni Paese organizzò un proprio corpo specializzato di giurati, detti appunti giudici di gara.
A differenza di altri sport dove il giudice, o meglio l’arbitro, ha un compito prevalentemente “repressivo”, atto cioè a punire e sanzionare chi viola le regole, in atletica il compito precipuo del giudice è quello di far si che tutti i concorrenti siano messi nelle stesse condizioni per esprimere le loro capacità atletiche al meglio e, ovviamente, nel rispetto delle regole.
A parte alcune specialità o funzioni dove il giudice con il suo comportamento può influenzare il risultato (mi riferisco alla marcia e alla partenza nelle gare di corsa), nelle altre specialità la funzione del giudice è praticamente quella di un notaio che registra, certifica e ufficializza la prestazione e la rende credibile e vera, nel caso di evento internazionale, a tutto il mondo.
L’assenza di un giudice che reprime, ma che si limita a sanzionare gli eventi realizzati con infrazione certa delle regole, fa si che l’etica comportamentale degli atleti sia meno determinante nel giudizio che in altri sport, dove, cito per esempio gli sport di contatto (calcio, rugby, basket su tutti), la violazione delle regole è soggetta alla interpretazione dell’arbitro, ma può essere influenzata dal comportamento degli atleti che in alcuni casi può addirittura sfiorare la fraudolenza.
Mi riferisco ad esempio a quei calciatori che colpiti al petto da un avversario, si portano le mani al viso cercando di indurre così l’arbitro a valutare un fallo in maniera diversa da quanto in realtà accaduto.
Ma l’atletica, in quanto sport individuale, racchiude in se valori che si esaltano attraverso l’etica comportamentale dei suoi protagonisti.
Basta osservare le fasi successive ad un arrivo in una gara di corsa, dove il vincitore dopo aver tagliato il traguardo torna sui suoi passi e va ad abbracciare o stringere la mano agli avversari battuti.
Ci sono episodi nella storia dell’atletica che hanno portato grandi contributi a quello che oggi continua a essere definito “fair play”.
A Berlino nel 1936 durante i Giochi Olimpici, Jesse Owens il fenomenale campione americano primatista mondiale in carica di salto in lungo, stava per fallire la qualificazione non riuscendo a controllare la rincorsa nonostante l’avesse accuratamente misurata.
Fu il tedesco Lutz Long, il più pericoloso dei suoi avversari, a fargli notare che il vento o un altro atleta distrattamente, aveva spostato la tuta che Jesse aveva posto a segnare il punto di inizio della rincorsa. Owens corresse il segnale, si qualificò e poi vinse la gara davanti a Long. Fra i due nacque così una grande amicizia che durò anche dopo la morte che di lì a poco colse il tedesco impegnato a fronteggiare lo sbarco americano sulle coste della Sicilia.
Un altro episodio di grande fair play vide protagonisti due atleti italiani. Siamo nel 1994 a Helsinki dove si disputa la 16° edizione dei Campionati Europei. Durante la disputa della finale dei 3000 metri siepi, alla quale parteciparono ben tre atleti azzurri: Lambruschini, Panetta e Carosi, successe che Alessandro (Lambruschini) ebbe la disavventura di cadere nella discesa da un ostacolo e rimase fermo a terra dolorante. La sua gara sarebbe terminata in quel momento sfortunato, se Francesco Panetta, anche lui in lizza per una medaglia, non si fosse reso protagonista di un grande gesto di solidarietà.  Fermò per un attimo la sua corsa ed aiutò il compagno di squadra a rialzarsi, correndogli poi a fianco non smettendo di incitarlo finché i due non riuscirono a rientrare nel gruppo dei primi.
Alessandro Lambruschini così rinfrancato riprese il comando della gara e vinse un meritatissimo titolo europeo.
Tanti sono i gesti di etica morale di cui gli atleti si sono resi protagonisti. L’ultimo in atletica è proprio di questi giorni. Le agenzie specializzate hanno battuto una notizia che ha uno straordinario sapore deamicisiano.
Voi sapete che la staffetta 4x100 italiana agli Europei di Barcellona disputatisi nell’agosto scorso, ha stabilito il primato italiano della specialità conquistando anche una medaglia d’argento di grande spessore tecnico.
Voi tutti sapete pure che le federazioni in genere mettono a disposizione dei medagliati premi in denaro. Così è stato anche per la F.I.D.A.L. che ha stanziato un premio di 2.500 euro per ciascuno dei quattro staffettisti, escludendo però ingiustamente le due riserve.
Gli staffettisti sono un gruppo di amici molto affiatato ai quali il provvedimento federale di esclusione dai premi delle riserve non è andato giù. Ne a loro e neppure alla stragrande maggioranza degli appassionati.
Ebbene uno degli staffettisti, il siciliano Emanuele Di Gregorio, ha fatto un gesto molto significativo, dichiarando che avrebbe diviso il suo premio con i due compagni di squadra esclusi.
Emerge da questo episodio che la lealtà non la si può insegnare. E’ una componente del carattere, per cui una persona sceglie di obbedire a particolari valori di correttezza, amicizia e sincerità anche e, soprattutto, nelle situazioni difficili.
L’etica sportiva dovrebbe ergersi anche come barriera insuperabile e impedire che l’uso di sostanze illecite abbia ingresso nei nostri spogliatoi, aiutando atleti moralmente deboli e sicuramente anche male consigliati, a mistificare le loro prestazioni violando quei principi di serietà e lealtà che sono alla base della pratica sportiva.
Gustavo Pallicca
Pistoia, 20 novembre 2010
III Congresso Panathlon International – Club Pistoia-Montecatini